lunedì 14 aprile 2014

DUETTO ( scritto in coppia con la Dama)



«Ah solitudo, solitudo,
acqua infetta di pallidi insetti,
vetrificata pelle che indosso,
cinghia petrosa che avvinghia,
ringhia, acquario
di pensieri ritorti,
grammofono della mia sola
voce, mordace canizza di lupi
che induce lo spaventoso,
cavernoso antro ad aprirsi,
ad osservare  il buio
che ho dentro

Odi et amo,
bianca solitudo,
credo e dubito,
nera solitudo,
poiché mi sfregi
con l’acido della verità
e mi pieghi alla gogna del dolore.

Cerco, cerco ma non trovo
un’altra solitudine,
improntitudine di creatura
raminga che cerca, cerca anche lei ma non trova».

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«Lasciatemi sola, vi prego.
Lasciatemi – solo – vi prego
non invadete il mio metro
quadro – del corpo nero
che non riflette luce

chi chiama cornice cinica
il suo sanguinare da sola
senza finta stampella umana.

La vista chiara è la sola
borchia ch’inchioda
la verità nuda di terapia:

siamo soli senza speranza.

E non lacrima chi rivendica
la parola come compagna;
la pagina come sostegno.

Tramo sola come un ragno!
È un baratto infame l’amore:
come dare carne al cane
per ottenere tante grazie
siete un corteo di code,
un’anonima fila di bandiere
che falsa il colore
dell’originale solitudine.

Digiuni di tana abbiamo fame
ma la randagia – non reclama
una recita che sempre si replica:
la borghesia orchestra la storia
e tutta questa finzione m’annoia».
  
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«Occhi nella foresta di voci,
occhi nel gorgo della mente,
occhi su gente che invade
di malinconia le strade,
occhi butterati d'amore, tremore ,
occhi selvaggi di carne e passione,
occhi in un burrone,
occhi dalla forra di un pozzo,
occhi gialli e minacciosi,
rozzo scrutare di uomini astiosi.

Sguardi limacciosi,
chiusi nel grembo della paura,
arsura di sguardi assolati, malati,
squali spiaggiati dai denti affilati,
sguardi al cianuro, cloruro impazzito,
spezzato sul petto brunito.

E finalmente i tuoi occhi,
d'una lenta speranza,
d'un'azzurra distanza dalla folla cruenta.
Il miraggio dell' intimo approdo,
l'ingaggio fra i cuori dormienti,
il coraggio d'un grido a violare i silenzi... ».
  
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«Nessuno che conosca.

No. Non uno capace di
capire come: capire cosa
costi non essere costola,
ma l’occhio del profeta.

Essere corpo cattivo
essere trazione triste
al chiuso e al di là
oltre occhi oltremare
[ interno iride indaco ].

Nessuno sente come si sente
chi si sente odiato: è sempre
Medusa che il mare violenta.

Ti amerò per vendetta!

Nella bocca buia bloccata
nel blu di un livido sorriso

e calca la mano
e prima dell’uso
e prima dell’urto
e prima che perda
la grazia – il mio ghiaccio granito…

Ti prego: portami pessime nuove
prima – che possa: ridere
prima – che possa: credere
alle menzogne della carne.

Mentirsi è un mestiere
che non mi appartiene:
ficcami due dita dove

possa sentirmi bene;
vomitare ogni ragione
concedermi altre ferite.

No: non sai vedere

nelle trame delle ciglia barbare
solo la più feroce delle femmine
spugna e spurga – non sogna,
mi segno un altro polso:
corpo di cristallo, bulbi di vetro».
  
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Lampi verdi di gorgonie infette
balenano fra le tue palpebre chiare
tutta l’agonia di un mondo fracassato
traballa nelle iridi sconnesse
dal dolore che ingorga ogni respiro.

Rappresenti sulle labbra sanguinanti
la tragicommedia del tempo
lo vedo, lo canto,  lo sento.
C’è furia, c’è tonsura di rabbia,
c’è scabbia sulla pelle ferita.
Un pesante portone di bronzo
è chiuso su te, nel tuo sole al tramonto.

Ma ci dev’essere un luogo
uno spartiacque di acque
ghiacciate e torrenti e falde
deve esistere una crena d’universo
un quanto d’illusione
un braciere sacro
una stella perduta
un punto d’elezione
dove il maschio e la femmina si ritrovino
rinnovino la trama incantata della specie
rispolverino la speranza dell’Unico.
Infrangano la mascella serrata
della solitudine-incudine.

Nei tuoi occhi d’azzurro, di madido azzurro
fra turbe spinose ed aspre murene
fra coliche d’odio e gabbie taglienti
già naviga un’onda di pesci d’argento
che chiede la luce e dirama le vene.

Avvicina il tuo irato sorriso 
alle mie lacrime assorte, sian morte.
Spegni le tue fiamme annerite
nella mia bianca sorgente,  indecente.

Diluisciti in me,
lascia che costruisca in te
nei tuoi occhi celati d’anima inquieta
io che sono un asceta.

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