mercoledì 30 aprile 2014

Un grigio abdicare



La vena emerge sottopelle
come un fiume silenzioso cosparso di fiori neri
mentre tu mi guardi
e rivedi in me le tue timide paure.

Principessa infelice, adolescente in rotta.

Nei tuoi occhi perlati
un vasto lago di disperazione
quei tuoi occhi azzurri
acqua di pura fonte.
   
Mi chiedi la formula d' argento
che schiude il paradiso
la porta dell'oblio.

Sciolgo la malinconia di una generazione
nel sorso d'eroina
e ti regalo il bacio della morte.

Che subito coglie le tue labbra esangui
La tua infinita e fioca perdizione.

Le iridi scolorano
sono pietrisco, asfalto
un candore immacolato
impavesa il tuo cielo.

Tutto si ferma 
i fiumi prosciugano
il vento si tace
il mare e' calmo.

A noi
soltanto un'epica fu concessa
quella del rifiuto
d’un pallido abdicare
nel silenzio della Storia.

martedì 29 aprile 2014

L' Aristocratico




Raccontami di te
Della tua tristezza antica
Di quel cielo sporco
Che ci sovrasta
Della solitudine amica
Che arreda le tue stanze
Ed io ti ascolterò in silenzio
Come una mezza parola
Portata dal vento
Come un Dio aristocratico e solo
Come l’eco nel tempo

lunedì 28 aprile 2014

Il vecchio



Vecchio
si alzò dalla sedia di paglia
e gettò nello specchio le sue mille rughe
di terra e fatica.

Lento
si avvicinò al camino
e allungò la mano destra
con un moto ieratico.

Freddo
risultò l'approccio
con la pipa di legno
incastonata d'avorio.

Cauto
la pose fra le labbra
e assaporò il tabacco
per l'ultima volta.

I suoi occhi erano trasparenti, un giorno forse azzurri,
oggi grigioperla, d'indefinito chiarore.

Grave
con il passo pesante
e il fiato breve
si trascinò alla porta.

Aspra
si aprì alla corte
la soglia consumata
di pietra scura e frassino.

Bianco
di lana bianca
di uccelli bianchi
grondava bianco il cielo.

Austero
il vecchio fece tre passi
e colse il profumo di pane caldo
che intorpidiva il giorno.

Le sue labbra erano vetri, un giorno rubini forse,
oggi salgemma, cicatrizzati amori.

Certo 
si mosse
verso il bosco di quercie
contando le pietre sul ciglio.

Stanco
giunse alla méta
e si sedette sul ceppo
che sorgeva nel folto.

Acuto
Scandagliò dal profondo
la natura del buio
che riempiva la macchia.

Unico
un fiore azzurro
balenava ai suoi piedi
concupendo la vista.

I suoi petali erano lacrime, cristalli forse un giorno, 
oggi ricordi, cocci intorpiditi.
  
Il vecchio
con le sue dita rose
colse quel fiore
e si sdraiò nell'erba.

Supino
vide la luce in alto

avvicinò le palpebre
e si lasciò morire.

Importuno
scivolò un gran vento
fra le mani congiunte
nell'estremo rigore

Calda
scese la notte
nella radura assorta
e diventò quel fiore
il corpo arrotolato
del vecchio addormentato.