Vecchio
si alzò dalla
sedia di paglia
e gettò nello
specchio le sue mille rughe
di terra e
fatica.
Lento
si avvicinò al
camino
e allungò la
mano destra
con un moto
ieratico.
Freddo
risultò
l'approccio
con la pipa di
legno
incastonata
d'avorio.
Cauto
la pose fra le
labbra
e assaporò il
tabacco
per l'ultima
volta.
I suoi occhi
erano trasparenti, un giorno forse azzurri,
oggi
grigioperla, d'indefinito chiarore.
Grave
con il passo
pesante
e il fiato
breve
si trascinò
alla porta.
Aspra
si aprì alla
corte
la soglia
consumata
di pietra scura
e frassino.
Bianco
di lana bianca
di uccelli
bianchi
grondava bianco
il cielo.
Austero
il vecchio fece
tre passi
e colse il
profumo di pane caldo
che intorpidiva
il giorno.
Le sue labbra
erano vetri, un giorno rubini forse,
oggi salgemma,
cicatrizzati amori.
Certo
si mosse
verso il bosco
di quercie
contando le
pietre sul ciglio.
Stanco
giunse alla
méta
e si sedette
sul ceppo
che sorgeva nel
folto.
Acuto
Scandagliò dal
profondo
la natura del
buio
che riempiva la
macchia.
Unico
un fiore
azzurro
balenava ai
suoi piedi
concupendo la
vista.
I suoi petali
erano lacrime, cristalli forse un giorno,
oggi ricordi,
cocci intorpiditi.
Il vecchio
con le sue dita
rose
colse quel
fiore
e si sdraiò
nell'erba.
Supino
vide la luce in
alto
e si lasciò
morire.
Importuno
scivolò un gran
vento
fra le mani
congiunte
nell'estremo
rigore
Calda
scese la notte
nella radura
assorta
e diventò quel
fiore
il corpo
arrotolato
del vecchio
addormentato.
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