venerdì 24 ottobre 2008

Equivoci


Il mondo è una
costellazione
di equivoci

Tutto
spinge
e brucia

Nulla
osserva
e tace

L'eclissi
del dolore
è uno stanco mito

Dobbiamo convivere
e apprezzare
la coerenza del suo graffio

L'ebrezza della gioia
è un rapidissimo
schiaffo

martedì 7 ottobre 2008

Deserto


Il deserto è un gravido tappeto
pronto a divampare fiamme

Scarafaggi dorati
si levano in volo
sulle teste azzurre
dei beduini immobili

Tartarughe di seta
camminano in pantofole
lungo la snguigna riva
dei fiumi prosciugati

I deserti sono alcòva di niente
e scrigni dell'eterno tutto

Aironi fossili bianchissimi
scheggiano il vento bollente
ma non lasciano ombre
ricadere al suolo

Cantastorie nomadi
bucati dal sole
stanno proni
davanti alla maestà dei racconti

Nel deserto puoi incontrare l'anima
o perderti nel vuoto del suo miraggio estremo

Il caldo aspro fluttua nell'occhio
visibile al tocco tra le dune
popolate da pastori
che bevono cielo
come acqua di lago

Un fantasma solitario
avanza sulla pista abbandonata
con le labbra spaccate
e un fiore nero
tatuato sulla fronte

Dal deserto non si torna
soltanto ci si perde nel deserto
senza speranze
senza accortezza
ma con un dito di Dio
nella bocca inaridita

mercoledì 17 settembre 2008

Dolce morte


Una coppia di manette velenose.
Due sergenti solforosi.
Le tragiche telecamere pietrificate.

E tu nel mezzo.
Catatonico non propriotonico.

Catalessi di luce.
Lenta disperazione.
Il sole ti guarda.
Nei suoi solfeggi malinconici
la dea della guerra si addormenta.

La tua donna.
Così lontana.
Così bella.
Lo screzio è un intarsio nel petto.
Il ricordo un dolore indigesto.

Presto sarai giustiziato.
Ti raggiungerà una parabola esangue.
L'arte di morire prevede che tu pianga.
Ma tu non verserai lacrime
elisioni del tempo remoto
migrazioni al centro della paura.

Riderai.
Come un delfino guizzerai.
Nell'acqua della notte
nella solituidine erotica
che il vento ti ha portato.

Con il tuo mazzo di carte
per un gioco d'azzardo.
Con il tuo odore di periferia
per una spenta illusione.
Con la tua fortuna immaginata
in uno scrigno di follia.
Con il tuo delitto sulla schiena.

Con la tua donna
così dolce
così bella
così bambina

Come la morte, adesso.
Come la dimenticanza, ora.

Di te resterà il se.
Se avessi avuto.
Se fossi stato.
Se avessi voluto.
Se.


martedì 22 luglio 2008

Fin de siecle (Capodanno del 2.000)


A 23 heures 30
i manganelli sadici
della polizia
hanno lasciato il posto
ai tragici duelli
fra uomini e coltelli.
Le tempie titubanti
dei teppisti narcolettici
sono corrose
da acidi fluttuanti
e le allucinazioni vorticose
oleose si specchiano
nell'occhio traforato
della violenza
in doppiopetto azzimato.


A 23 heure 40
sul fango annerito delle discoteche
si muore per uno sguardo affilato
breve, irritato, nervoso.
Riflesso purpureo
nelle trame a trecce
di un neurone morente.
Il gioco delle lame
dirama solitudini
dall'erta dei vicoli scuri
sui muri di folla che scende
nell'orgia che sale veloce.

A 23 heures 50
il colore del sangue
profuma le pareti intonacate
densamente corrose
negli androni
degli antichi palazzi.
Razzi balenano
fra pensierosi affreschi
che si staccano dai saloni piovosi
e piombano nel frastuono delle piazze.
Spingendo aull'acceleratore-disintegratore
del tempo
la carcassa di questo secolo cieco
dimena le braccia e poi muore.

Quando la mezzanotte suona
un telo di pietra infelice
si stende sull'acqua marrone
del porto.
Le musiche lunghe del mare
protendono i nervi dal buio
la gola recisa di un uomo
innalza il suo grido furente.

Come sempre
morte e bellezza
hanno bisogno
della stessa maestosa tristezza
e di un'asperrima nota.

giovedì 3 luglio 2008

La lenta strada bianca


La lenta strada bianca
che vide scendere e sudare
i padri dei miei padri
che inanellò morte e desiderio
penetra l'inquieta morale
dell'immorale mia vita
e si confonde nella memoria imperfetta.

Questi alberi
che la seguono come fratelli gelosi
che hanno dato frutti
e rigettato fiori
testimoniano una torva adolescenza
e conservano sulle foglie
in una oscura vena
del moto clorofilliano
l'impronta subliminale della mia voce.

Su queste pietre ardue
che raccolgono l'ombra degli antenati
ci sono tracce
in silenziosa rovina
di una stella solitaria
che splende e piano si consuma.

La lenta strada bianca
di ciotoli e di polvere
snoda conserte
le braccia lungo gli anni
schiude le palpebre
degli uomini caduti.

Io non sò vivere
di voci e di ricordi
amo il presente
e scrivo del futuro
ma qualcuno
qualcosa
nella fumosa strada
dal passato si adira
mi rimprovera
e spezza il fiato
sulla mia schiena ricurva.

Chiede un abbraccio
vitale e impenitente
spiega nel cielo
canzoni e cicatrici.

E' l'eterna seminagione
è una linea lunga e sotterranea
che avvinghia le radici
nel nido della carne
è il grido della stirpe
che affonda la sua voce
nel buio dentro l'anima.

E chiama
ferocemente chiama
ed ama
perdutamente ama.

mercoledì 2 luglio 2008

Lacrime di ferro


Un fuoco testardo crepita nei testicoli del mondo
e sgorga dalle labbra ferite di una caverna
mille metri profondo
sfregia con la sua bellezza di cancrena
le volte a boccascena disadorne
affollate di bianchi scorpioni
fredde e lucenti come zanne di leoni.
Il demone si agita nel ventre del terrore
mentre scatena la forza selvaggia
che apre la scorza della mente.
Furia ed armonia colmano le vene della terra
gli occhi arrossati della montagna
piangono sassi e morene
come lacrime di ferro.

Vizio


Ognuno corre lungo il suo fiume di pietra
libero di amare la propria schiavitù
ma prigioniero dell'essere libero

Ognuno corre lungo un fiume di pietra
e crogiola nel tepore del vizio
l'illusione folgorante della sua beatitudine

martedì 17 giugno 2008

Genova meravigliosa


Com'era ferma Genova
in quelle notti di luna.
Gli amori si consumavano
sotto un tappeto di stelle
ìi baci correvano
sepolti dai vicoli ansiosi.
Tu splendevi
nella tua pelle umida
ed io ti guardavo
scendere in mare
colpire nel segno
la congiunzione astrale.
Il tempo sedeva in un angolo
paziente
ad aspettare.

Com'era ferma Genova
in quelle notti d'azulene.
I gatti suonavano il violino
nei roseti fra le scogliere.
I tuoi seni di conchiglia
si facevano isole
nell'acqua d'argento
e i pesci ipnotizzati
adoravano la dea
invocando prodigi.
Fluorescenti creature
illuminavano il cielo.

Com'era ferma Genova
in quelle notti d'agosto
mentre il caldo miagolava
sui tetti d'ardesia
e stuzzicava
cantastorie e chitarre.
Noi ci sfioravamo
in un'apoteosi di piccole luci
i giovani fumavano l'erba
sotto ai fiori del pitosforo.
Ogni odore era lento
passaggio di vento.

Com'era ferma Genova
in quelle notti d'oriente.
Le auto planavano
a velocità ridotta
senza rumore
con garbo trattavano l'asfalto
come si tratta un dolore.
Noi lasciavamo che il dolce inganno
crescesse ondeggiando.
Non c'era passione felina
ma un quieto racconto
che svelava il profondo.
Dio, o chi per lui,
si acquattava nel buio
e dirigeva un'orchestra
di silenzi e di vuoti.

Com'era ferma Genova
in quelle notti d'estate.
Gli occhi del mistero
accendevano lampare scintillanti
in quelle taciturne notti.
Un mantello di velluto nero
scendeva sulla mia terra preziosa
e socchiudeva la porta, geloso.
Com'era eterna Genova
in quelle notti a bassa voce.

giovedì 12 giugno 2008

L'aspra bellezza dell'inverno


Ghiaccio ferito
e aria fredda
nel vallone
stordito.
Le unghie dell'inverno
hanno strappato al cielo
l'emozione.
Un velo
di bianca sordità
e di scherno
ottempera il destino.
Festino della terra.
Un sole tramortito
sferra i suoi raggi
sul pantano scintillante.
Silenzio.
Silenzio devastante.
Solo il vento
ha diritto
di accantonare brividi
al fondo delle ossa
di provocare lividi
sulla cute che arrossa.
S'apre nel mondo
la gelida riscossa
la dolce distruzione
che spande sul reame
fame
aspra bellezza
eterna contrizione.

mercoledì 11 giugno 2008

I borghesi


Alcuni non han più capelli
ma si fingono arieti
terminators pelati
senza ciuffi, sgraziati.
Tant'altri ricordan cicogne
fogne di nervi e cavetti
alti magri stretti
orme di vermi difformi.
Sono i borghesi
ai loro fili appesi.
Coi loro stracci accesi
le loro donne smunte
rimasugli di step
unte mortadelline di germi.
Con quale dilemma
cadeau, stratagemma
si cuciono addosso lo stemma
dell'arida spocchia che scoppia?
Appaiono scemi
ma siedono ai remi
del grande battello ubriaco.
Poichè loro sono.
Immantinenti esistono
e non escono
dall'insistenza acuta
dell'avido secondo.
D'altronde è in questo mare
che sorgono le onde.
Del resto è in questo cesto
che atroce cresce il mondo.

lunedì 9 giugno 2008

Sorella morte


Abbiamo tutti sorella morte dentro
e ce ne stiamo avvinti nell'immenso
con gli occhi stralunati perduti nel mistero.

Teniamo tutti sorella morte dentro
e non capiamo che a palesarne il volto
l'arcana disgiunzione avremmo noi risolto.

venerdì 6 giugno 2008

Sicilia


Terre arse di rocce nere
terre asperse di pietra bianca
Terre sparse di tufo e lava

La carcassa di un rottweiller
fra le spighe essiccate e i fiori gialli
L'odore intenso della morte
nel volo concentrico dele mosche eccitate

L'ostentata presenza di un corvo
sul ceppo d'arenaria
nel campo assolato

Gli hanno sparato al grosso cane
gli hanno sparato in testa con amore
lo hanno finito così quel grosso cane

Un colpo di frusta
un foro in mezzo agli occhi
Pistola in uso ai rapinatori
parabellum calibro nove

Da queste parti
la lotta fra cani
è un passatempo diffuso

La bestia accasciata
ha uno squarcio buio sotto al collo
Denti affilati
cortesie da pitbull

Forse in questo modo
da una carogna
nacque la pietra
su cui troneggia il corvo

Forse è in una ferita crudele
che la pietra si fonde con il cielo
e l'uomo con gli dèi

Terra dura che vince sempre
Terra nuda che chiede sangue
Terra sorda che non ti ascolta

Il corvo si destreggia
fra i muretti a secco
Chiede la sua parte
deve nutrir la prole

Il sole brucia alto
e il tempo si consuma

martedì 3 giugno 2008

Promemoria


Erigersi
raschiare col cuore
il fondo del barile

Dirigere
altrove la mira
anticipando il rinculo

Dirottare
aerei senz'ali
falsificando la rotta

Elaborare
giochi di parole
con la parrucca storta
e l'accento sul fa

Comporre
tiritere
di velluto
e uranio impoverito
senza ferirsi

Abbarbicarsi
al tendine
d'Achille
per afferrare le corna
del signor Minotauro

Immaginarsi
l'altro
per diventare l'uno
l'oggi senza ieri
e il tre

Ricordare
che il 5
sta nel 10
sei volte
stordito
da un colpo di genio.
Dato di fatto
dentro all'istante
presente
che si giustifica
assente.


mercoledì 28 maggio 2008

Onde corte


Sorte
giochi alle tre carte
con la morte,
ma tu non capisci,
pisci.
Ti guardi attorno e scrosci.

Morte
giochi alle tre carte
con la sorte,
ma tu non ferisci, sfasci.
Mi guardi solamente e sgusci.


venerdì 23 maggio 2008

L'aristocratico

Raccontami di te
della tua tristezza antica
di quel cielo sporco
che ci sovrasta
della solitudine amica
che arreda le tue stanze.
Ed io ti ascolterò in silenzio
come una mezza parola
portata dal vento
come un Dio aristocratico e solo
come l'eco nel tempo.

martedì 20 maggio 2008

Apoteosi della fucilazione

L'attimo della fucilazione
ha in sé, profonda,
la vera erudizione.

Fregola di vita
e cespito di morte
tutto, dico tutto,
è assai perfetto
nell'intimo difetto.

L'istante della violazione
ha, in nuce, protesa
la sublim(e)azione.

lunedì 12 maggio 2008

Il vecchio


Vecchio
si alzò dalla sedia di paglia
e gettò nello specchio le sue mille rughe
di terra e fatica.

Lento
si avvicinò al camino
e allungò la mano destra
con un moto ieratico.

Freddo
risultò l'approccio
con la pipa di legno
incastonata d'avorio.

Cauto
la pose fra le labbra
e assaporò il tabacco
per l'ultima volta.

I suoi occhi erano trasparenti, un giorno forse azzurri,
oggi grigioperla, d'indefinito chiarore.

Grave
con il passo pesante
e il fiato breve
si trascinò alla porta.

Aspra
si aprì alla corte
la soglia consumata
di pietra scura e frassino.

Bianco
di lana bianca
di uccelli bianchi
grondava bianco il cielo.

Austero
il vecchio fece tre passi
e colse il profumo di pane caldo
che intorpidiva il giorno.

Le sue labbra erano vetri, un giorno rubini forse,
oggi salgemma, cicatrizzati amori.

Certo
si mosse
verso il bosco di quercie
contando le pietre sul ciglio.

Stanco
giunse alla méta
e si sedette sul ceppo
che sorgeva nel folto.

Acuto
scandagliò dal profondo
la natura del buio
che riempiva la macchia.

Unico
un fiore azzurro
balenava ai suoi piedi
concupendo la vista.

I suoi petali erano lacrime, cristalli forse un giorno,
oggi ricordi, cocci intorpiditi.

Il vecchio
con le sue dita rose
colse quel fiore
e si sdraiò nell'erba.

Supino
vide la luce in alto
avvicinò le palpebre
e si lasciò morire.

Importuno
scivolò un gran vento
fra le mani congiunte
nell'estremo rigore

Calda
scese la notte
nella radura assorta
e diventò quel fiore
il corpo arrotolato
del vecchio addormentato.

Il caporale J.


Le ombre lunghe dei commilitoni
scandagliavano la nuda terra assetata
il tramonto nel deserto era fuoco e carne
terremoto di sonnolenza diffusa.
La giornata finiva con una speranza
il cielo di guerra volgeva insulti al nero.

Si alzarono lenti come la malinconia
e salirono sull' automezzo rugginoso.
Il rombo aspro del motore
coprì la prima raffica;
la seconda invece piombò chiara
nelle profondità del corpo
giù fino allo stomaco
mentre il canto artificioso del muezzìn
avvelenava l'aria.

Il caporale J. sentì bruciore di lama
forargli la spalla
con un "crac!" bitonale.
L'altro pugnale di ferro rovente
s'incastrò nella gamba destra;
l'ultima freccia avvelenata
andò a conficcarsi sotto al cuore
nella cavità polmonare
mentre la nenia tumefatta del muezzìn
infilzava cadaveri e onore.

Il caporale J. rotolò pesantemente
fuori dalla trappola di metallo
e vide con la coda dell'occhio
i commilitoni morire senza urlare
scena madre di un vecchio film muto.
Nel miraggio si materializzarono
sagome scure agitate
qualcuno appoggiò qualcosa
alla sua tempia sudata
mentre il lamento inquieto del muezzìn
spolverava le tombe al cimitero sciita.

Il caporale J. sentì freddo
poi caldo, poi dispiacere.
Di essere ancora vivo.
L'uomo con il kalashnikov
schiacciò il grilletto
e sette pallottole entrarono
nel suo cervello silente
urlando bestemmie.
Il caporale J. morì sorridendo
con la voce di suo figlio nel cuore
mentre la tiritera fluida del muezzìn
scardinava ogni illusione
nel tramonto infernale.

giovedì 8 maggio 2008

Siamo vittime del silenzio


Siamo vittime del silenzio.
Dovremmo gridare oltre la soglia dell’udibile.
Ultrasuoni farebbero il gioco delle tre carte.
Siamo trittici dell’unico.
Dovremmo agire in quattro per sembrare una coppia.
Architettare enigmi, ludi pitagorici induriti.
Agili, gli altri, salterebbero di palo in frasca.
Pavidi, si calerebbero nell’ovvio.

E la luna sempre lì
con il mitra spianato
a dire basta
basta.

martedì 22 aprile 2008

La mia terra al tramonto

Amo
questa terra diversa
arcuata
svogliata
riversa.
Cromatura perversa.
Mi travesto in essa
così spessa
smessa,
struccata
addobbata
di venti e maree
ninfee
di nuvole e favole
cicatrici d’acciaio
e di tegole.
Amo
questa terra frastagliata
infervorata
dalle sue tempeste oscene
dalle urla sdentate
sulle vene
del buio che si apre
come un salmo
nel dorso
della mano.
Amo
la mia terra di vetro
m’induce al vanto
nell’orgoglio
dei monti
a strapicco.
Straricco
io sono
d’anime perse
e corsari
navigatori solitari
divoratori di giunche
che hanno solcato le rotte
e le arsure.
Amo
la visione
dei crocefissi
in fondo al mare
preghiere
novene
riflessi di storie
ferite
ultranere
di streghe
e incolpevoli
demoni.
Ambisco toccare
sacerdoti scolpiti
e conventi morenti
nella pietra gremita
dai raggi
di luna
sbiadita.
Amo
questa terra
e la sua gente
torturata
forgiata
dolente
tatuata.
I suoi vicoli astrusi
nell’orda
di spacciatori
taglienti
le ignote piazzette
violate da mostri
leggende
assassinii e scoppi
fiocchi d’ardesia
che sanno di fritto
e di leghe profane.
Amo
l’erezione di Dio
nella terra
l’illusione
del sacro
nella rossa caldaia
del tramonto sul mare
raso rosa
mariposa di luce
e coltello crudele.
Amo
i colori
di questa mia terra
di zinco
d’argento violetto
violento
imperfetto
nolente
ramo di rose spente
vagina arguta
di prostituta
e quaresima.
Terra azzurra
e suburra
di gatti ciechi
di magnaccia e ruffiani
cardinali del vizio
ufficiali a servizio
di viandanti
malsani.
Peccaminosa terra
che profuma di guerra.
Terra bianca di sale
d’un feroce carnevale
orinale
e liquido mestruale.
Sopracciglio bestiale.
Verde
verde terra mia
elegìa
ritrosìa
trangugiata nei porti
da poeti
possenti
e veggenti
da intestini furenti
costellata di crimini antichi
nei cimiteri fra gli orti
divorati da nubi più basse
carcasse di nembi
appesantite e grasse.
Ulivi
rovi
trivi
uncini
moncherini di cani
fra le casse di spezie
fra gli uccelli marini
spaventati simulacri
penitenti ai lavacri
di quest’onta
che monta
nel giorno,
la notte.

Sulla tomba di mia madre

Sulla tomba di mia madre
vanno a pregare i delfini.
salgono su dal mare alla collina,
lasciano tracce dei loro sconfini
negli orti che braccano i monti.

Sulla tomba di mia madre
son cresciute le piante grasse.
Una, in particolare, avvinghia i lumini
li abbraccia con incessante affetto
forse distruttivo, sicuramente vivo.

Sulla tomba di mia madre
ci puoi trovar piccoli doni:
un presepe, un fermacapelli, i baci della luna.
Si fanno compagnia
Si raccontano storie di fortuna e allegria.

Sulla tomba di mia madre
ci vado spesso anch’io.
Gioco a scacchi con la morte,
faccio il cavaliere delle sette porte.
Piango, vinco, rido…
chino il capo e mi confido.

venerdì 18 aprile 2008

Morte annunciata dell'uomo politico


Con gesto solenne
la mano ponderosa
dell’uomo politico
sposta le tende lise
dalla finestra opaca.
Il raggio di sole
lo ferisce tra gli occhi
e illumina
un cupo divagare.
Nella sua mente è il tuono.
La quiete annunciatrice
invece è nella stanza,
ospite discreto
ma degno d’attenzione.

Uomini in grigio
gli hanno parlato di numeri
e di un nome,
il nome di chi odia
e ha la forza per portare
allo stremo quell’odio.
Gli hanno svelato paure,
morti e condanne,
gli hanno versato, densa,
l’ambrosia avvelenata
degli dèi e del destino.

E la perdizione,
l’abisso,
lo ha fissato negli occhi,
dentro l’anima,
come una scheggia di vetro
che si specchia
nella cornea in attesa.

L’uomo politico sa,
è cosciente.
Le sue malefatte splendono
nell’olimpo dei doveri.
I santi
hanno le corna del diavolo.
I demoni
spiegano ali d’arcangelo.
Le sue buone azioni
giacciono
nella gabbia dei leoni.

Gelide correnti
da nere grotte marine
attraversano
gli occhi azzurri
dell’uomo politico,
scrutano la città
arrotolata nei suoi tormenti.
Qualcuno là fuori
lo odia.
Molti, tra la folla,
lo temono.

Una pallottola è pronta per lui.
La parola fine è scritta
sul libro infervorato della Storia.
E lui lo sa.

Ciononostante
muove il passo
alza lo sguardo
protende il corpo
scende le scale
saluta la scorta
siede nell’auto
si affaccia sul viale
osserva attonito la bellezza del mondo
vede il volto di un Dio misericordioso
spegne la luce del ricordo estenuante
tacita il buio dolore che lo prende allo stomaco.
E si chiude in sé stesso.

Improvvisi,
gli occhi del killer
incontrano i suoi.
Ipnotizzato li ama.
La canna del fucile brunita
sporca di luce il futuro
mentre il colpo
parte esuberante.
il piombo, nero,
si mette, rapido, in viaggio...
poi lui,
l’uomo politico odiato,
muore di schianto
colpito alla fronte
dalla sua stessa
vertigine.

martedì 15 aprile 2008

Genova si ama da sola

Sia chiaro a tutti:
Genova si ama da sola.
Non ha bisogno di levigate rime
o di elegie dorate.
Ha nei suoi vuoti
e nei suoi colmi atroci
la vena di ogni musica.
Malinconia bruciante
e tenere tempeste.
Se dal suo ventre antico
risali per l’inferno truce
dei ghetti e delle ardesie
fino al paradiso inerme
dell’incatenato mare
lo capirai:
Genova si sa amare da sola.
Non ha rispetto degli altri
o di sé stessa
eppure s’ama
di quell’amore acuto
che è farsa e malinteso.
Nelle sue genti fischiano
i venti delle burrasche oblique
dalla sua bocca colano
i canti forti ed aspri
della montagna nuda.
Genova non chiede nulla
perché non vuol ridare.
Resta nel golfo
abbandonata al mare
fredda come un cristallo
incastonato al monte.
E si lascia poi guardare
attonita lei pure
chiusa nel pugno
perduta e senza onore.

Mi piace essere uomo

Penetro fessure
Agisco in interzone
Spalleggio capricci del destino
Svolto volte
E mi ritrovo avvolto
Dalle mie stesse interiezioni
Allucinazioni che spingono oltre
La coltre
Dei vetri appannati
Abbraccio angoli
Smusso spigoli
Portando al collasso
La velocità del mio passo
Cedo
Avanzo
Recedo
Affondo
Conquisto
Smisto
Le mie conquiste
Ma qualcosa duraturo resiste
Muro contro muro ribatto
Prendo a testate
Le ondate della logica
Scatto in avanti
Balzo all’indietro
Filosofeggio poetando
Schizzo sofismi
Che provocano aneurismi
Aulicamente mi sospendo
Svendo la trance
Circumnavigo l’ostacolo
Miracolo
Oracolo
Pinnacolo
Di anacoluti trascendenti
Proventi di un ignobile furto
Plagio che mi mette
Palesemente a disagio
Disegno
Le pieghe dell’evento
Contorto
Mi esalto
Scaltro
Palleggiatore di palliativi
Acuto
Assaggiatore di saggi
Sommelier di sangue umano
Scarroccio
Derivo
Ritrovo il soffio
Drizzo la vela
Mi riprendo
Attendo che il cozzo di uno scoglio
A pelo d’acqua mi risvegli
Scegli
Mi grida
Scegli
Distogli lo sguardo dall’omphalos
Vuotati le tasche
Elimina l’infatuazione
Fermati
Mi fermo
Stallo
Traballo
Non posso
Mi hanno invitato al gran ballo
Cenerentola bagnata
Si aspetta trafelata
Che nero condottiero
Il cigno della bestia
Si spinga fino a lei.
Sogno
Che sono un gatto che ha bisogno
Di farsi accarezzare
Lapidare di baci e sconcezze
Mi compro l’universo
Per poterlo azzannare
Mi piace essere uomo
E lasciarmi ferire
Mi piace essere vivo
e lasciarmi morire.

lunedì 14 aprile 2008

Quando cala il sole

Mezzo giro: un negroni dolciastro, una canna veloce, nessun cazzo di programma.
E’ l’ora giusta per uscire di casa. La candela sul comodino bruciacchia l’abat-jour, puzzo d’arrosto e di-vino.
Inafferrabile avanza il piacere maudit della malinconia.
Andiamo a incominciare!

Quando cala il sole
il barman avvelenatore.
Il giocatore di poker dagli occhi vitrei.
Il buttafuori sfregiato, anamnesi della violenza.
Arianna, la prostituta slava pura come una bestemmia.
Il vecchio travestito con in mano la morte e due centesimi.
La mendicante pettinata che impreca al vento spettinatore.

Primo giro: whiskie liscio con un assaggio di verità.
Nel cielo, luna dura e senza fronzoli.
Com’è bello cucirsi addosso la tempra dell’avventuriero.

Si aprano le danze! Vibrino i capezzoli!
Il cocainomane che straparla in una pozza di deliquio e delirio.
Stefano nervoso, uomo fragile che presto o tardi si farà saltare le cervella.
Vito il poliziotto, corrotto ma sincero.
Mattia, lo sciupafemmine triste perché finalmente hanno sciupato anche lui.

Secondo giro: rhum invecchiato e pera, gocce di sperma sui calzoni.
Freddo di nebbia nelle strade, caldo di fiati dentro ai bar.
La solitudine fa giravolte ellittiche prima di congelarsi dentro.

Si riparte.
Il bevitore di alibi esistenziali.
Lo scrittore di gialli, diabetico e gottoso.
Il vecchio comico che non fa più ridere, ma si lascia deridere.
Tania, l’entreneuse polacca senza un dito che vuole sposare un italiano ma non sa dove infilare l’anello.

Terzo giro: Porto Tawny nel bicchiere bollente e un trip.
Assoluta è la notte d’inverno. Potrei farci l’amore.
Se dio esiste abita fra le cosce di una donna, dentro agli occhi di un disperato.
Vietato pensare, volare!

Guantino, il picchiatore pentito, metempsicosi della mutazione.
Chicco, il pattinatore tatuato che si cala i calzoni all’ingresso delle discoteche. Cerca solo un po’di tenerezza.
Ciaco, sadomasochista romantico che colleziona frustini di seta.
La bellissima Rossana, donna di cera, che ama farsi insultare per diventare miele.
Maurizio il pusher, onesto lavoratore, preciso come un bisturi, freddo come il cristallo.

Quarto giro: Vodka Red bull, mini maki, Domori.
Padre nostro che sei nei cieli prega per noi peccatori che pecchiamo sapendo di peccare.
Il gioco delle metafore si spreca.
Anche il poeta si spreca, sapendo di sprecare.

Un'altra luce al neon, un altro buco nero.
Bobby.d.j, anarchico e psicopatico, calumet della pace e un sasso in bocca.
Rico, malandrino di mezza tacca che vorrebbe avere più tacche.
L’uomo che non lasciavano mai entrare. L’escluso, senza causa, senza amore.
Susy, l’attricetta in carriera dalla fica rossa e irritata.
Rosario il tossico, occhio di pesce, labbro leporino.
Il ragazzo di vita trovato senza vita sotto a un ponte.
La cassiera del cinema porno con i capelli di plexiglass,
il seno in silicone, le unghie al poliuretano.

Quinto giro: telepatico Fellini mi suggerisce otto e mezzo bicchieri di cicuta, ma preferisco una birra: del demonio, possibilmente.
Che silenzio nelle piazze deserte! Datemi una cartuccia d’argento e solleverò il mondo.
La gioia di esistere si misura in momenti così rari
da renderli ancora più rari.
Psychedelic Furs e nervi stesi.
L’angelo custode è ubriaco, meglio metterlo a nanna.
C’è Caronte al mio fianco.

Il giornalaio delle cinque e un quarto, faccia da filosofo, pedofilo per hobby.
La ragazza scappata di casa che dorme nel bunker abbandonato vicino al corpo di un soldato tedesco.
Il profeta cieco all’angolo della strada, in bilico fra
il vecchio e il vecchissimo testamento.
Il cornetto alla crema per vomitare con dolcezza.
L’alba per non morire.
La disperazione in cima ai grattacieli.
Io, dio in fondo ai pensieri,
grasso di dolore, bulimico di morte.

Uno straccio di sole pulisce la faccia sporca della notte.
Qualche auto trascina sogni in un frastuono di nulla.
Lo zingaro fisarmonicista esce dal metrò, vagheggiando una canzone.
Rapito, scrivo il mio nome sul muro e lo chiudo in un cuore di gesso.

Diafanolivido


Una sorta di lucentezza livida
circonda sempre
il mormorio della vita

Una specie di bellezza diafana
avvolge sempre
lo scampanio della morte