venerdì 6 giugno 2014

Il passo materno della notte



La benedetta
è una pallottola gonfia di gloria
che sibila nell’aria.
La dolce
è un sorso di veleno e libertà
che penetra nel cuore.
La misteriosa
è come il passo materno
della notte che avanza e riscalda.
L’implacabile
è il muto respiro della solitudine
che ritrova la voce.
La morte
è gettare per anni parole sul foglio
e alfine contemplarne
la sferica presenza
l’elusiva bellezza.
La morte
è un lungo sguardo
che colma la distanza
fra due amanti lontani.

giovedì 29 maggio 2014

Genova meravigliosa

Com'era ferma Genova
in quelle notti di luna.
Gli amori si consumavano
sotto un tappeto di stelle
ìi baci correvano
sepolti dai vicoli ansiosi.
Tu splendevi
nella tua pelle umida
ed io ti guardavo
scendere in mare
colpire nel segno
la congiunzione astrale.
Il tempo sedeva in un angolo
paziente
ad aspettare.

Com'era ferma Genova
in quelle notti d'azulene.
I gatti suonavano il violino
nei roseti fra le scogliere.
I tuoi seni di conchiglia
si facevano isole
nell'acqua d'argento
e i pesci ipnotizzati
adoravano la dea
invocando prodigi.
Fluorescenti creature
illuminavano il cielo.

Com'era ferma Genova
in quelle notti d'agosto
mentre il caldo miagolava
sui tetti d'ardesia
e stuzzicava
cantastorie e chitarre.
Noi ci sfioravamo
in un'apoteosi di piccole luci
i giovani fumavano l'erba
sotto ai fiori del pitosforo.
Ogni odore era lento
passaggio di vento.

Com'era ferma Genova
in quelle notti d'oriente.
Le auto planavano
a velocità ridotta
senza rumore
con garbo trattavano l'asfalto
come si tratta un dolore.
Noi lasciavamo che il dolce inganno
crescesse ondeggiando.
Non c'era passione felina
ma un quieto racconto
che svelava il profondo.
Dio, o chi per lui,
si acquattava nel buio
e dirigeva un'orchestra
di silenzi e di vuoti.

Com'era ferma Genova
in quelle notti d'estate.
Gli occhi del mistero
accendevano lampare scintillanti
in quelle taciturne notti.
Un mantello di velluto nero
scendeva sulla mia terra preziosa
e socchiudeva la porta, geloso.
Com'era eterna Genova
in quelle notti a bassa voce.

martedì 27 maggio 2014

I borghesi


Alcuni non han più capelli
ma si fingono arieti
terminators pelati
senza ciuffi, sgraziati.
Tant’altri ricordan cicogne
fogne di nervi e cavetti
alti magri stretti
orme di vermi difformi.
Sono i borghesi
ai loro fili appesi.
Coi loro stracci accesi
le loro donne smunte
rimasugli di step
unte mortadelline di germi.
Con quale dilemma
cadeau, stratagemma
ci cuciono addosso lo stemma
dell’arida spocchia
che scoppia?
Appaiono scemi
ma siedono ai remi
del grande battello ubriaco.
Poiché essi sono
immantinente esistono
e mai usciranno
dall’insistenza acuta
dell’avido secondo.
D’altronde è in questo mare
che sorgono le onde
del resto è in questo cesto
che atroce cresce il mondo. 

venerdì 23 maggio 2014

Drink drank drunk for the jumpin.jive




Tornare a casa ubriachi
linfa di vetro sui muri
schiuma di shampoo negli occhi

il cervello assordato
da fischi guaiti ululati
di guerci cagnacci rognosi

i neuroni fra le mani
con le teste rasate
e le ascelle sudate

l’ipotalamo sull’unghia
zecca prosciugata e sgonfia
infilzato filetto.

Tornare a casa ubriachi
drink drank drunk for the jumpin’ jive
alle sei del mattino c’è qualcuno che sbraita
alle sei del mattino
tu hai lo schifo nei lombi
e la boria del mondo
tutta chiusa nel freezer
degli sporchi ricordi.

Tornare a casa ubriachi
Roteando sulla punta acuta
del rischio fatale
edificando ciminiere di confusione
edulcorando microchips di passione
e gettare nel cesso quattro litri di whiskey
scura morte nel sangue
seta rossa strappata.

Tornare a casa ubriachi
per cercare nel fango
delle rozze illusioni
e scoprire fra un conato ed un coito
le gole segrete
le terre bruciate
le ribollenti lave
le ignote.

Insultarsi  picchiarsi ferirsi
nel dar voce al profondo
separarsi scoparsi riunirsi
nel’infinita bestialità della vita.

Tornare a casa ubriachi
drink drank drunk for the jumpin’ jive
e stringersi  l’uno accanto all’altra
come labbra in amore
rumore di scambi nel  cuore
calce viva ferro fuso e clamore.

Ascoltare il respiro unificato
dei  vulcani e delle fosse marine
e finalmente ordire
i battiti all’unisono
concilio di stelle e pianeti
valzer di fiabe e leggende. 

giovedì 22 maggio 2014

Dolce morte


 
Una coppia di manette velenose.
Due sergenti solforosi.
Le tragiche telecamere pietrificate.

E tu nel mezzo.
Catatonico non proprio tonico.

Catalessi di luce.
Lenta disperazione.
Il sole ti guarda.
Nei suoi solfeggi malinconici
la dea della guerra si addormenta.

La tua donna.
Così lontana.
Così bella.
Lo screzio è un intarsio nel petto.
Il ricordo un dolore indigesto.

Presto sarai giustiziato.
Ti raggiungerà una parabola esangue.
L'arte di morire prevede che tu pianga.
Ma tu non verserai lacrime
elisioni del tempo remoto
migrazioni al centro della paura.

Riderai.
Come un delfino guizzerai.
Nell'acqua della notte
nella solitudine erotica
che il vento ti ha portato.

Con il tuo mazzo di carte
per un gioco d'azzardo.
Con il tuo odore di periferia
per una spenta illusione.
Con la tua fortuna immaginata
in uno scrigno di follia.
Con il tuo delitto sulla schiena.

Con la tua donna
così dolce
così bella
così bambina

Come la morte, adesso.
Come la dimenticanza, ora.

Di te resterà il se.
Se avessi avuto.
Se fossi stato.
Se avessi voluto.
Se.