lunedì 12 maggio 2008

Il caporale J.


Le ombre lunghe dei commilitoni
scandagliavano la nuda terra assetata
il tramonto nel deserto era fuoco e carne
terremoto di sonnolenza diffusa.
La giornata finiva con una speranza
il cielo di guerra volgeva insulti al nero.

Si alzarono lenti come la malinconia
e salirono sull' automezzo rugginoso.
Il rombo aspro del motore
coprì la prima raffica;
la seconda invece piombò chiara
nelle profondità del corpo
giù fino allo stomaco
mentre il canto artificioso del muezzìn
avvelenava l'aria.

Il caporale J. sentì bruciore di lama
forargli la spalla
con un "crac!" bitonale.
L'altro pugnale di ferro rovente
s'incastrò nella gamba destra;
l'ultima freccia avvelenata
andò a conficcarsi sotto al cuore
nella cavità polmonare
mentre la nenia tumefatta del muezzìn
infilzava cadaveri e onore.

Il caporale J. rotolò pesantemente
fuori dalla trappola di metallo
e vide con la coda dell'occhio
i commilitoni morire senza urlare
scena madre di un vecchio film muto.
Nel miraggio si materializzarono
sagome scure agitate
qualcuno appoggiò qualcosa
alla sua tempia sudata
mentre il lamento inquieto del muezzìn
spolverava le tombe al cimitero sciita.

Il caporale J. sentì freddo
poi caldo, poi dispiacere.
Di essere ancora vivo.
L'uomo con il kalashnikov
schiacciò il grilletto
e sette pallottole entrarono
nel suo cervello silente
urlando bestemmie.
Il caporale J. morì sorridendo
con la voce di suo figlio nel cuore
mentre la tiritera fluida del muezzìn
scardinava ogni illusione
nel tramonto infernale.

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